Oggetto libro e oltre
Mario Piazza
Mario Piazza
Ray Bradbury, autore di quell’indimenticabile romanzo di fantascienza Fahrenheit 451 dove i libri avrebbero dovuto sparire dalla faccia della terra, ci spiegava invece come i libri potessero essere odiati e temuti “perché rivelano i pori sulla faccia della vita. La gente comoda vuole soltanto facce di luna piena, di cera, facce senza pori, senza peli, inespressive”.
Certo che se oggi Bradbury si fosse presentato prima all’ADI Design Museum di Milano e poi alla Biblioteca Nazionale Braidense per la IV edizione di “Oggetto libro”, Biennale internazionale del libro d’Artista e di Design a cura di Susanna Vallebona, si sarebbe trovato un insolito panorama. La mostra infatti allinea ben 106 opere, anzi dovremmo dire 106 libri, ma che in parecchi casi a prima vista si fa parecchia fatica a collocare nella categoria del libro, almeno nella sua forma canonica e consolidata nel tempo.
Nell’introduzione al catalogo infatti emerge, a fianco di libro-oggetto, libro d’artista, libro di design, la definizione di oggetto ibrido, che racchiude in se sia la necessità intrinseca della sperimentazione continua, sia dell’assoluta necessità di riflettere sulla materialità del libro oltre i confini di una tassonomia standardizzata. In effetti la storia del libro gravita appunto attorno ai due poli dell’innovazione tecnologica e della dimensione antropologica dell’oggetto, del suo appartenere strettamente alla cultura materiale Per leggere un libro servono tanto gli occhi, quanto le mani. E ben prima della comparsa del libro d’artista ci ha già dato prova della straordinaria capacità di assumere forme molteplici, dai codex dell’antichità ai best-seller in plastica gonfiabile. Del resto la normale merceologia editoriale associa a contenuti specifici, forme specifiche: un dizionario è diverso da un taccuino. E spesso la codificazione tipologica ha aperto a innovazione e ibridazione: quando un’enciclopedia diventa tascabile ha la necessità di autodefinirsi e diventa la Garzantina. Quindi questo panorama ibrido mostra la capacità infinita dei libri di rivelarci “i pori sulla faccia della vita” e evidenziare la multiforme ricchezza delle possibili strade che portano al libro e ai messaggi che racchiude. Così grazie al progetto Rothco abbiamo un libro che cresce come un vegetale, sviluppando radici intelligenti. Infatti al posto di una macchina da stampa, tradizionale o digitale, è stata usata l’erba per pubblicare un libro. Forse per la prima volta al mondo si affaccia quindi sulla scena editoriale-artistica una sorta di Gutenberg botanico. “Il processo di stampa è stato realizzato dalla natura stessa, – scrivono i Rothco – modellando le radici dell’erba in simboli leggibili, per un periodo di crescita di diverse settimane”. Il risultato è affascinante, la materializzazione della pagina guidata dall’uomo, ma realizzata direttamente dalla natura. Il prossimo passaggio potrebbe essere quello di evitare la dettatura umana e di lasciare alle piante medesime di usare liberamente la propria scrittura, come suggeriva molti anni fa un’altra grande scrittrice di fantascienza, Ursula Le Guin. Altri libri ripropongono l’antica forma del leporello (legatura senza legatura) nella sua variegata possibilità di essere scritto, composto, illustrato, stampato. Come pure di articolare diverse modalità di costruzione della narrazione, dalla classica doppia pagina al diorama. Abbiamo quindi le intimistiche figurazioni delle Piccole cose di casa di Laura di Fazio e il meteorologico cronachistico Al momento tutto è già passato e tutto deve ancora iniziare di Manuela Marchesan e Patrizia Dughero, oppure il poetico racconto fluviale di Ilona Kiss On the Danube e la partitura musicale e collinare di Fernanda Fedi To C. from C. – Homage to Cesare Pavese. Ma viene anche costruito per ospitare un’ampia sequenza di reali biglietti ferroviari, supporto per ritratti di viaggiatori. Sono i Tickets di Daphne Barrett, che ha fatto molti viaggi in treno disegnando gli sconosciuti vicini mentre dormono o telefonano. Il leporello si presta molto a rendere la dimensione del flusso e del continuum anche quando il viaggio diviene un percorso alchemico come nel cromatico e serigrafico Flight Cagliostro’s seed di Marcello Diotallevi.
Questo contesto di luogo delle meraviglie ci fa ritornare alla scatola magica di Imago, ideata da Michele Provinciali e da Raffaele Bassoli come bizzarro house organ della Bassoli fotolito, la cui epopea è oggi riproposta in un bel libro edito da Corraini (1). In Imago fiorivano leporelli con viaggi sul bateau mouche a Parigi fotografato da Alfa Castaldi o studiati campionari di saponette usate, composte con magico piglio da Provinciali, quasi fossero concetti spaziali alla Fontana.
L’esaltazione dell’oggettualità del medium libro la si trova in mostra però nell’ampia categoria del libro d’artista. I libri o gli oggetti-libro sono veramente tanti e davvero pluriformi. Ci si chiede quali confini debba avere un libro d’artista. Siamo ormai su territori molto vasti e a più livelli rispetto ai fantastici libri costruttivisti di Iliazd (Ilia Zdanevich)(2). E anche possiamo dire superata la chiara definizione di libro d’artista proposta da un grande esperto ed appassionato cultore come Giorgio Maffei: “L’oggetto libro d’artista, per sua natura, è portatore di ambiguità, rivela una natura instabile per la sua somiglianza con le opere letterarie e dottrinali pur essendo poco a suo agio negli scaffali delle biblioteche. Se per il lettore il valore dell’opera risiede nei contenuti, per il collezionista d’arte l’interesse è da ricercare anche negli aspetti esteriori dei variegati o inusuali contenitori di concetti, forme, immagini e parole, testimoni delle persistenti pratiche della pittura, della fotografia, della poesia e della scrittura che congiungendosi, tendono alla costruzione di un significato complesso dove leggere e guardare sono parte della stessa esperienza” (3). Nei libri in mostra tutto ciò lo si ritrova, ma è sempre più evidente la dimensione performativa che va oltre la fissità del libro-oggetto, anche grazie alle nuove concrete possibilità offerte dalle innovazioni tecnologiche. Non a caso è presente la sottosezione “Installazioni”, che raccoglie pratiche dove l’oggetto è parte di un più ampio coinvolgimento dello spazio. Sono lavori molto diversi tra loro, dalle sculture mutanti di Corrado Gianmaria Spreafico alla disseminazione di Black notes di Gianni Gangai.
Provando a fare un mero esercizio di elencazione dei materiali con cui sono realizzati i libri d’artista in mostra, si scopre un mondo che farebbe provare invidia pure a Kurt Schwitters. Ecco una prova: carta nelle sue molteplici forme, frammenti di conchiglia, tela, juta, garza, cartapesta, cartongesso, buste, lattice, bitume, lamiera, filo, cartoncini, cartone, metallo, resina, nylon, legno, plastiche, radici, canapa, cotone, broccati, lane, ami da pesca, reliquie vegetali, reti metalliche, fil di ferro, fili da ricamo, nastri, foglie, corteccia, ingranaggi, cera, laminati, vetro, piombo, plexiglass, cemento, polistirolo, specchi, alabastro, pellicola, filo spinato, terra semi-refrattaria, porcellana, ceramica, corda, bronzo, terracotta, gres, mattoni, rottami, argilla, ranelle, bottoni. L’elenco è già un testo per un libro d’artista. Questi sono solo i materiali o i supporti, poi ci sono le tecniche e qui si va dai diversi metodi di composizione e stampa dalle arti grafiche alle forme più libere di manipolazione. Dentro questo microcosmo i libri si differenziano poi per le istanze tematiche e di ricerca sperimentale. C’è la grande componente della scrittura e della calligrafia con ottimi esempi come quelli di Monica Dengo, Valentina Fussi, Monica Fumagalli e Francesca Biasetton, e conferme di sublime eleganza e consolidata qualità estetica con gli Scavi editoriali di Simonetta Ferrante, festoso e poetico libro con ghirlanda o moderno quipu e con In memoria di Fausta Squatriti, che apre una riflessione sul segno indelebile che la pandemia mondiale ha lasciato nelle nostre vite. È un tema che emerge con letture sentite e intimistiche come nel leporello Love and Blood dell’iraniana Ladan Tofighi, o nei presagi cartacei di inquietudini cicliche di Marina Scognamiglio o nel grado zero del Libro-Libro di Vito Capone o nei Nodi del tempo in carta nepalese di Tiziana Priori o nel clinico fermatutto di 22.02.2020 di Ermanna Carmen Mandelli o ancora nel raggelante Memoriale terrestre di Lia Malfermoni o con il candore della catastrofe di Dal profondo di Patrizia Lovato. Ma ci sono anche fughe verso mondi immaginati come la suadente mappa del Livre Cartographie di Niki Kokkinos e la sorprendente magia omeopatica tradotta in una sorta di mappa mentale di Monika Wolf per farci vedere “cosa vedi quando dormi”, ovvero ENAWBAUNDUM in lingua Chippewa, come i bianchi chiamavano la tribù dei nativi americani Ojibway. E alla fine i libri-altrove, dove l’essenza del libro rinasce in fluttuanti onde di porcellana della Pergamena con Gayatri mantra di Donatella Baruzzi, nidifica per nuovi voli nei Nidi di parole di Andreina Argiolas, ci ammalia con le Trame di Terra e di Luna di Marilde Magni realizzate intrecciando fili ottenuti da mappe geografiche e per atterrare infine in una sorta di rilettura subliminale degli achrome in fibra sintetica di Piero Manzoni nel libro di piume Le parole tra noi leggere di Lorenzo e Simona Perrone.
L’ultima sezione della mostra è dedicata al design, ovvero al libro come oggetto progettato.
Sono libri dove il grafico, l’illustratore, lo stampatore o l’autore hanno curato tutti gli aspetti che concorrono a porgere nelle mani del lettore una magnifica opera e un bell’oggetto. Anche in questo caso molteplici sono i materiali e le tipologia di carte, le tecniche di stampa e di legatura, ma quello che rimane vincolante è la forma codificata nel tempo del libro e la sua produzione seriale. Unica altra variante è la presenza di un committente (editore, azienda, fondazione) o il soggetto di una autoproduzione. Quindi in questo caso il progetto non è quasi mai una pratica di totale libertà creativa, ma la tensione a dare risposte adeguate e a volta anche sorprendenti a vincoli definiti (da quelli di contenuto a quelli di mercato editoriale). Quest’area si configura come un buon osservatorio per monitorare la lo stato dell’arte del book design. Troviamo infatti molte conferme nei lavori di solidi professionisti come Francesco Dondina, Mauro Bubbico, Carla Cacianti, Marco Pea, Dario Carta, Lorella Pierdicca, Gianni Latino e Susanna Vallebona, dove la misura e l’inventiva non debordano mai in quell’eccesso e abuso di “effetti speciali”, oggi facili da praticare ma tesi solo ad una spettacolarizzazione del libro fino ai confini di mero gadget. Si apprezza invece la tenuta di capacità interpretative nel progetto totale del libro in funzione di un invito ragionato alla fruizione del contenuto.
Insomma si può fare un bel libro usando inchiostri speciali e legature raffinate senza perdere in intelligenza e metodo. Cose che riscontriamo anche in giovani autori, molto tesi alla ricerca e alla sperimentazione e forse ad un concetto di professione più ampio e ibrido. Facciamo qualche esempio: Jaap Smit, con studio a The Hague, rappresenta il prototipo del grafico d’oggi dove presenza di sapere professionale e di spirito critico sono equipollenti. Branding e critical studies viaggiano paralleli, si progetta per il glamping (fare campeggio di lusso) e si fonda una casa editrice che sperimenta come l’effimero della scrolling page dei social e dei tweet possa tornare alla pagina cartacea ma con un cambio di paradigma. È questo il tema dell’intrigante Internet Audience. David after the Dentist, il suo libro editato da Odd Pubblications. Attitudini che troviamo, potremmo dire in versione mediterranea, in Carlotta Origoni, un misto di teatro, espressività e artigianato per indagare il mondo con spirito critico. Il fare è qui agire, le mani pensano. Con l’artista Sara Basha è stato compilato ed editato il sofisticato progetto What Remains. De-stigmatizing Dementia trough Art, un libro cristallino e determinato, come tagliare il marmo nella cava, una razionalità riflessiva e metodica ma altrettanto poetica per un tema difficile. Anche quando il fulcro dell’azione è più fissato verso la ricerca estetica in senso stretto, come per i libri dello studio Tomomot (Adolfo Botti e Sara Poli) il progetto parte con un’assunzione programmatica, uno statuto operativo: credere nella forza delle lettere a partire dalla magia visiva della dimensione palindroma, che sia per indagare il senso e il futuro delle rovine con Futuruins o mettere in scena la straordinaria avventura artistica e familiare di Mariano Fortuny y Madrazo (1871-1949) con I Fortuny. Una storia di famiglia.
Il libro nelle sue molteplici forme è sempre un oggetto dinamico: lo si apre, lo si sfoglia, lo si piega. La lettura non è mai solo un fatto ottico e mentale, ha sempre nelle mani validi alleati. Quindi nel momento in cui il libro lo si rappresenta, con un’immagine o una fotografia, prevale lo statuto di oggetto standardizzato, la sua faccia. Quanto è deleterio ad esempio che in tanti testi di grafica a proposito di progetti editoriali ci si ferma alla sola copertina, come se essa fosse un tutto e non dovesse avere una stretta relazione con l’interno e soprattutto col contenuto. Gran parte della grafica editoriale la conosciamo solo per questa interfaccia, sempre più ambigua schiacciata tra le aspirazioni artistiche del grafico e le logiche di marketing del prodotto editoriale. La mostra offre invece il grande vantaggio di avere un’ampia esperienza di visualizzazione dei libri con tecniche di realtà aumentata e di interconnessione digitale con smartphone. Possiamo quindi vedere la loro dimensione dinamica, i loro segreti non visibili nelle statuarie presenze dell’oggetto-libro in mostra. Grazie alla app “ARIA the AR Platform” disponibile gratuitamente su Google Play e Apple Store le mostre di Oggetto Libro. IV Edizione trovano un’estensione virtuale, che interconnette la realtà fisica al mondo digitale. Gran parte dei libri selezionati possono quindi essere esplorati andando oltre la copertina e consentire di comprendere e godere della compiutezza dell’opera artistica e progettuale.
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Note
1) Imago 1960-1971. Una rivista tra sperimentazione, arte e industria, Giorgio Camuffo (a cura di), Corraini, Mantova 2021.
2) Per conoscere l’opera di Ilia Zdanevich (1894-1975) si veda: Audrey Isselbacher, ILIAZD and the illustrated book, with an essay by Françoise Le Gris-Bergmann, The Museum of Modern Art, New York 1987.
3) Giorgio Maffei, “Leggere e guardare”, in Libri d’artista dalla Collezione Consolandi.
1919 – 2009, Giorgio Maffei e Angela Vettese (a cura di), Edizioni Charta, Milano 2010, p.19.